BASILICA DI SAN GIOVANNI BATTISTA A MONZA
di Marina Ambrosecchio
Il Duomo venne fondato alla fine del VI secolo dalla regina Teodolinda, moglie del re longobardo Autari e poi di Agilulfo, come cappella del vicino palazzo reale, in una zona allora marginale del piccolo borgo di Monza, a breve distanza dal fiume Lambro. Rosone del Duomo di Monza. Certamente la basilica era già costruita nel 603, quando l’abate Secondo di Non vi battezzò l’erede al trono Adaloaldo. Essa nacque sotto un duplice segno: il legame con S. Giovanni Battista (al quale molto probabilmente la regina aveva impetrato la grazia della maternità) e quello con la sede pontificia romana, in particolare con papa Gregorio Magno. Centrale fu infatti il ruolo della regina nella conversione dei longobardi dall’arianesimo al cattolicesimo, processo complesso che si concluse solo un secolo dopo, sotto il regno di Liutprando. Per tali motivi, come testimonia Paolo Diacono, la Chiesa svolse di fatto il ruolo di “santuario” della nazione longobarda. Di questa prima fase quasi nulla sopravvive, ad eccezione di pochi materiali edilizi (tegoloni, “tubuli” per la realizzazione di volte, oggi conservati in Museo) e di resti dell’arredo liturgico (due lastre decorate “a incisione”). Dalle scarse fonti scritte si ricava, comunque, che doveva trattarsi di un edificio a tre navate, ad andamento longitudinale, preceduto da un atrio quadriportico che svolgeva funzioni diverse, tra cui alcune civili: vi venne ospitata anche la sede del Comune, che alla fine del XIII secolo si trasferì nell’Arengario appositamente costruito. Straordinaria testimonianza dei primi secoli di vita è il prezioso Tesoro, formato dalla suppellettile liturgica e dai donativi offerti dalla regina (che nella chiesa alla sua morte venne sepolta) e da altre opere di oreficeria e avorio offerte da re Berengario all’inizio del X secolo. Nel cambio di secolo, tra Duecento e Trecento, si colloca il momento decisivo di trasformazione dell’antica basilica nell’attuale Duomo, questa volta sotto il segno dei Visconti. Non è un caso che l’anno cruciale sia il 1300, quello della “grande perdonanza”, il primo giubileo indetto da Bonifacio VIII. Come tutto nel Medioevo anche la rifondazione del Duomo si ammanta di leggenda. Secondo un cronista locale, Bonincontro Morigia, all’origine di tutto sarebbe da porre un’apparizione miracolosa (di Teodolinda e di S. Elisabetta) a un prete, Francesco da Giussano, al quale viene chiesto di riscoprire antiche reliquie, da tempo dimenticate. Ritrovate le reliquie all’interno di un sarcofago romano (quello di Audasia Cales), ed esposte alla pubblica venerazione, il 31 maggio si pone la prima pietra della ricostruzione. Una seconda campagna costruttiva, motivata dalla necessità di ampliare l’edificio (sobriamente ispirato alle il S. Francesco “ad pratum magnum” della stessa Monza) per adattarlo alle esigenze di rappresentanza che il ritorno del Tesoro da Avignone (1345) imponeva, cade a metà del secolo. Artefice di questa seconda, più solenne, fase è Matteo da Campione, esponente di quella stirpe di costruttori proveniente dalla zona dei laghi tra Lombardia e attuale Canton Ticino, alla quale i Visconti commisero tante imprese edilizie e decorative del ducato nel corso del Trecento. La sua lapide funeraria (1396), immurata all’esterno della cappella del Rosario, ci informa sulla sua attività (il completamento della grande facciata “a vento”, la realizzazione del pulpito e del battistero) e testimonia il prestigio da lui raggiunto e la sua devozione. Egli fu certamente interprete dell’aspirazione dei Visconti a realizzare una grande basilica per le incoronazioni imperiali, secondo la tradizione germanica che imponeva all’imperatore di assumere tre corone: quella d’argento ad Aquisgrana, quella d’oro a Roma e quella “di ferro” appunto a Monza (o a Milano). E di ciò si ha una straordinaria testimonianza iconografica nella grande lastra (già chiusura posteriore del pulpito) oggi collocata presso l’ingresso della sacrestia.