Aquileia

AQUILEIA

di Marina Ambrosecchio

Le recenti scoperte geoarcheologiche hanno portato alla luce un vasto insediamento protostorico (sec.IX a.C.) ai margini di quello che doveva essere un importante fiume che poi i romani, nel secolo II a.C. hanno regimentato e reso navigabile, dando vita ad uno dei più importanti porti dell’epoca.

Con la fondazione della colonia romana, nel 181 a.C., tutte le precedenti realtà vengono annullate per far posto alla grande opera di risistemazione agraria, viaria e fluviale finalizzata sia a garantire la fortificazione della nuova Aquileia, sia in relazione alla pianificazione e centuriazione dell’agro aquileiese.

Nella Tavola Peutingeriana (fine IV s.d.C.) Aquileia è rappresentata come una città ben difesa da torri e mura possenti, con diverse strade che la collegano all’Italia e con il centro Europa (via Annia, via Postumia, via Gemina, ecc.) e posizionata in prossimità dell’Adriatico.

La struttura di forma quadrilatera, posta a destra di Aquileia, rappresenta il centro termale romano sul fiume Timavo, ubicato tra Aquileia e Trieste (Tergeste).

Fino a tutta la prima metà del IV s.d.C. le acque dell’Isonzo, Torre e Natisone lambivano la parte orientale di Aquileia, dove, con opportune imponenti opere idrauliche e strutturali, sorgerà il grande bacino portuale romano, largo 48 metri e lungo oltre 400 che farà diventare Aquileia fiorente e prosperosa, alla pari di Milano, Capua e Pompei. Aquileia divenne la capitale della X regione dell’impero romano: la Venetia et Histria.

Tutte le strade di comunicazione che uscivano da Aquileia erano difese da adeguate torri e porte: verso sud si andava allo scalo marittimo di Grado; a Ovest c’era la via Annia e la Postumia che collegavano Aquileia all’Italia; a Nord ci si dirigeva per andare verso Cividale (Forum Iulii) oppure al Noricum (Austria); a Est, invece, si andava a Trieste (Tergeste) oppure all’Isonzo presso Gorizia per poi continuare verso Lubiana.

Il periodo di maggiore splendore per Aquileia fu il IV secolo, contraddistinto anche religiosamente dalla costruzione della grande chiesa cristiana di Teodoro.

Aquileia, centro militare, commerciale e religioso, era divenuta una delle principali cittadine dell’impero romano, dopo Roma, Antiochia, Alessandria, Milano, Pompei. 

La sua importanza, oramai secolare, venne a cessare con l’invasione degli Unni del 452.

Di Aquileia nel corso dei secoli VI, VII e VIII sappiamo ben poco. La cittadina, dopo la calata degli Unni, è dimezzata: l’intero settore settentrionale non viene più utilizzato se non come deposito di materiale pregiato da riciclare. Nel 568 il popolo longobardo conquista anche il Friuli e sposta la capitale del suo primo ducato a

Cividale: Aquileia è troppo vicina a Grado e alla costa Adriatica, territorio oramai soggetto a Ravenna. Grado diventa sede episcopale in antitesi ad Aquileia.

Nella seconda metà dell’VIII secolo i Franchi, succedutisi ai Longobardi, sviluppano una politica di ristrutturazione politico religiosa, dove il ruolo del partriarca Paolino d’Aquileia (787 – 802) è molto importante anche per la città friulana con la rideterminazione dei confini della Diocesi Aquileiese.

Ma bisognerà aspettare il Patriarca Massenzio (inizio sec. IX) per vedere una rinascita politica, economica e religiosa della città di Aquileia, grazie anche alle copiose regalie territoriali che l’imperatore fa al patriarca. Questa nuova realtà, in grande evoluzione, viene bloccata repentinamente dalle incursioni ungare di fine secolo IX che devastano e spopolando tutto il medio Friuli (vastata ungarorum).

La rinascita di Aquileia diventa realtà con il patriarca Popone, ministro di Corrado II (inizi sec. XI): vengono ripristinate le mura difensive, le strade, le chiese, il porto fluviale, ecc. Aquileia diventa il centro nobile dell’intero territorio friulano. Accanto alla basilica debitamente ricostruita ed abbellita il patriarca predispone la sua residenza: il palazzo patriarcale.

Nel 1077 Enrico IV concede al patriarca Sigeardo l’investitura feudale sull’intero territorio friulano: si ha la nascita dello stato patriarcale in funzione politico-militare imperiale.

Fuori la cinta muraria, nel settore nord orientale, prende vigore il convento benedettino femminile, di probabili origini paleocristiane, che durerà sino alla fine del secolo XVIII; mentre un altro convento, maschile, sempre benedettino, di “San Martino della Beligna” si sviluppa a sud di Aquileia e verrà chiuso a metà secolo XV, allorchè la Serenissima occuperà l’intero Friuli e determinerà la fine dello stato patriarcale.

È interessante notare che nel medioevo Aquileia, dal punto di vista giurisdizionale, era divisa in tre zone: quella a nord, soggetta alla Badessa del Monastero Benedettino; quella occidentale, dove c’era la sede comunale e in cui il Podestà aveva giurisdizione e quella orientale, chiamata “Pala Crucis” o “Pala de Crôs”, dove comandava il Patriarca (attraverso il Capitolo). Tutte e tre queste antiche “borgate” avevano la propria chiesa parrocchiale. Alla fine del secolo XVIII, in applicazione di un editto di Giuseppe II, imperatore d’Austria, la comunità aquileiese dovette scegliere di tenere solo una chiesa: decise, per quella attuale.

Con la fine dello stato Patriarcale (1421) il territorio friulano divenne soggetto a Venezia, mentre Aquileia, S. Daniele, San Vito al Tagliamento, rimasero territori imperiali austriaci. Aquileia, in particolare, rimase austriaca fino alla fine della prima guerra mondiale.

Ma se Aquileia era territorio austriaco, la nomina del Patriarca era, di fatto, di diritto veneto. Una situazione conflittuale che nel 1751 il Papa, in modo salomonico, decise di porre fine decretando la soppressione dell’antica diocesi aquileiese e la conseguente erezione di due nuove arcidiocesi: quella di Gorizia, per il territorio friulano austriaco e quella di Udine, per quello soggetto a Venezia.

Anche il tesoro patriarcale e le reliquie furono tolte ad Aquileia e spartite tra le due nuove istituzioni ecclesiastiche.

Aquileia fu, di fatto, abbandonata al suo destino e l’impaludamento del territorio, il latifondismo esasperato e la miseria fecero il resto per tutti i secoli XVIII e XIX. La casata d’Austria cercò in vari modi di rivitalizzare Aquileia: prima con una serie di bonifiche dei terreni paludosi (sotto Maria Teresa d’Austria, sec. XVIII) poi con la costruzione di un porto fluviale nuovo sul Natissa (metà sec. XIX). Ma fu inutile: molti cittadini aquileiesi cercarono situazioni migliori persino oltre oceano.

Lo scoppio della prima guerra mondiale peggiorò le già gravi situazioni sociali ed economiche di Aquileia, situata proprio sulla prima linea del fronte, territorio austriaco, popolata da “austriacanti”, da italianizzare in ogni modo.

Il cimitero aquileiese, da secoli disposto attorno alla basilica, venne fatto spostare in altro luogo per far posto ad un cimitero di guerra italiano. Fu proprio in questo periodo storico, caratterizzato anche dalla rotta di Caporetto e poi dalla successiva vittoria italiana, che fu completamente portato alla luce il mosaico pavimentale teodoriano (IV secolo).

La stupenda pavimentazione musiva dell’attuale basilica è quella della prima chiesa di Teodoro (inizi IV s.d.C.) che venne alla luce a cavallo della prima guerra mondiale. Fino ad allora la pavimentazione della chiesa era costituita da un lastricato in pietre rosee e bianche che ricoprivano i precedenti strati più antichi. Prima gli austriaci, dopo l’esercito italiano, rimossero tale lastricato, scavarono, e portarono alla luce il mosaico policromo che oggi ammiriamo.

Solo dopo la seconda guerra mondiale la situazione sociale ed economica di Aquileia mutò.

Nuove case, nuovi posti di lavoro, un’istruzione più diffusa furono le premesse per arrivare alla situazione attuale: un centro storico-archeologico importante e conosciuto a livello internazionale, una situazione urbanistica moderna da sviluppare ulteriormente soprattutto per le aspettative turistiche, una produzione agricola e in particolare vitivinicola di alta qualità. L’Aquileia d’oggi, collegata al mare dal fiume navigabile Natissa, è un piccolo tesoro culturale ed ambientale dove fanno bella mostra di sè boschi planiziali, rogge d’acqua di risorgiva, la maestosa laguna.

 

la Basilica

 

La basilica è il monumento maggiore e più significativo di Aquileia ed è il risultato di un susseguirsi di edifici le cui radici penetrano fino al II sec.d.C. Infatti, è di quest’epoca la prima sala di culto documentata da uno stupendo, per quanto superstite, pavimento musivo policromo-figurato, di carattere gnostico-cristiano, la cui simbologia è ricollegabile con sorprendente fedeltà al trattato gnostico di “Pistis Sophia”.

Più tardi, all’inizio del IV secolo, il vescovo Teodoro modificò l’aula gnostica, inglobandola in un edificio di culto a due aule parallele. Pochi anni dopo, questi pavimenti furono interrati per l’edificazione di una basilica ancora più ampia, strutturata su due aule parallele, un fonte battesimale a ovest e un edificio abitativo a nord. Questo complesso paleocristiano, per l’epoca unico nel suo genere, diventò la matrice di molti complessi denominati come “basiliche doppie”.

 

Dopo le devastazioni prodotte dalle incursioni di Attila e dall’occupazione longobarda, fu il patriarca Massenzio (811-833) a dare nuovo impulso ad Aquileia e a questo antico complesso religioso. La basilica sud fu completamente ristrutturata e, con l’aggiunta dei transetti laterali, acquisì la caratteristica forma a croce latina che tuttora mantiene.

Gli altri edifici sacri (aula nord, quadriportico, episcopio) non verranno più utilizzati.

 Le devastanti incursioni degli Ungari e il forte terremoto del 998 danneggiarono fortemente la basilica. Una nuova importante ristrutturazione del complesso religioso fu perciò eseguita all’inizio dell’XI secolo a cura del patriarca Poppone, (1019- 1042) che completò i lavori di restauro della basilica e fece edificare, con le pietre dell’anfiteatro, la possente torre campanaria. Il nuovo complesso fu solennemente consacrato il 13 luglio del 1031, e dedicato alla Vergine Maria Assunta e ai SS.Ermacora e Fortunato, come si può leggere nella scritta dedicatoria sotto il grande affresco absidale, dove sono rappresentati lo stesso patriarca, l’imperatore Corrado, sua moglie Gisella e il figlio Enrico III.

La basilica subì un nuovo grande intervento di restauro, dopo il rovinoso terremoto del 1348, da parte del patriarca Marquardo di Randeck (1365- 1381). Gli archi romanici, sopra i capitelli popponiani, furono sostituiti con le arcate gotiche a sesto acuto per sostenere le nuove murature della navata centrale e tutto il soffitto ligneo ricevette la forma caratteristica di “carena di nave rovesciata”.

Durante il Rinascimento, ci furono altri interventi minori, non di carattere strutturali, ma rilevanti per l’aspetto scenico dell’interno, quali l’altare maggiore nell’abside, il rivestimento marmoreo esterno alla “cripta degli affreschi”, le scale, l’altare del ciborio e la tribuna “magna” decorati da Benardino da Bissone.

La cripta degli affreschi, sebbene sia d’epoca Massenziana (sec. IX), è conosciuta soprattutto per gli affreschi con le scene della “passio” del protovescovo aquileiese Ermacora e del suo diacono Fortunato, risalenti al XII secolo. All’interno di questa sala, protetto da una robusta cancellata, assemblata tra le colonne, era custodito il tesoro “religioso” aquileiese, poi smembrato allorchè venne abolita la sede vescovile di Aquileia per far posto a quelle, nuove, di Gorizia e di Udine (1751). La cancellata fu purtroppo tolta verso il 1950/60, quando l’intera basilica fu interessata dai lavori di restauro da parte della Soprintendenza. Le scene della “passio” si trovano riproposte sia attorno all’abside (affreschi del XIV sec.) sia nelle pitture sul dorso degli stalli dei canonici del Capitolo aquileiese (sec. XV).

 

I mosaici

 

Gli scavi effettuati circa un secolo fa sotto il pavimento della basilica di Aquileia hanno riportato alla luce un grande mosaico, risalente al quarto secolo dopo Cristo, che ricopriva una vasta aula (aula sud) molto precedente all’attuale basilica.

Il tappeto musivo ritrovato, di pregevole fattura, risulta ben conservato e mancante solo in corrispondenza delle maestose colonne della basilica e di qualche tomba. Gli scavi, ripresi successivamente all’esterno, hanno portato alla luce i resti di un’altra aula (aula nord), in parte risalente allo stesso periodo di quella sud, coperta anch’essa da un vasto tappeto musivo, mancante quasi solo in corrispondenza delle fondamenta del campanile

che vi si erge sopra dal 1031. I mosaici dell’aula nord risultano fatti con materiali meno pregiati ed eseguiti da mano meno esperta, fatta eccezione per una zona, situata a nord delle fondamenta del campanile, che presenta mosaici più antichi dai colori brillanti, di altissima scuola.

Questi mosaici non sono inquadrabili in un contesto storico/culturale latino o latino/cristiano. Dal loro esame, si ricavano, invece, indizi e ipotesi di lavoro che spostano le indagini verso gli ambienti culturali gnostici, presenti durante i primi secoli dell’era cristiana in tutto l’impero romano e particolarmente ad Alessandria d’Egitto. In particolare, lo studioso Renato Iacumin vede nei mosaici più antichi dell’aula nord l’illustrazione iconografica di vari testi gnostici, tra i quali il libro I e IV del codice “Pistis Sophia”, ritrovato in lingua copta in

Egitto nel 1946 e tradotto in italiano nel 1982.

 

Per il materiale fornito ringraziamo la Dottoressa Lorena Zuccolo – Communication Area Press Office Agenzia Turismo FVG. (www.turismofvg.it)