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IL MIO VIAGGIO IN INDIA

di Antonello Lanzellotto

Era dal tardo pomeriggio che la scritta “delayed” campeggiava vicino al numero di treno per Allahabad sul quadro orario della stazione di Delhi. Eravamo ormai accampati alla meglio sulla banchina insieme ai pellegrini che si recavano a compiere uno dei rituali più importanti della religione hindù, il viaggio spirituale in occasione del Kumbh Mela. Oltre agli insistenti venditori di samosa, la tipica pasta di pane dalla forma triangolare ripiena di formaggio, cipolle, carne e spezie, sulla banchina della stazione passavano spesso anche i venditori di catene e di lucchetti, che nella mia mente da occidentale immaginavo avrebbero fatto più affari in un parcheggio di motorini piuttosto che all’interno di una stazione ferroviaria. Fu una famiglia indiana con la quale avevamo familiarizzato durante la lunga attesa a consigliarmi invece di acquistarne una per incatenarmi letteralmente ai miei bagagli durante le ore di sonno che avrei trascorso a bordo del treno. Quando il vecchio locomotore entrò sbuffando nella stazione, tutta la folla che mi circondava, ormai intorpidita dal freddo e dalla stanchezza, sembrò di colpo prendere vita all’unisono per andare letteralmente all’arrembaggio dei vagoni di seconda e terza classe. Questi erano già abbastanza pieni di occupanti e quindi in molti provavano a salire a bordo in corsa prima che il treno si fermasse completamente, in modo tale da poter occupare per primi gli spazi ancora disponibili. Anche se viaggiavo in prima classe condividendo lo scompartimento con una famiglia indiana ed una coppia di giapponesi, non fu effettivamente facile risposare quella notte perché le porte della cabina rimanevano aperte ed un viavai incessante di uomini e donne salite a bordo del treno continuava ad affacciarsi mentre lo percorrevano nella sua intera lunghezza per trovare un posto su cui accomodarsi. Arrivammo a destinazione in tarda mattinata, e appena usciti dalla stazione mi resi conto che le strade erano percorse da un fiume di persone che andavano tutte nella stessa direzione, verso lo sconfinato accampamento che dalle rive dei fiumi sacri si estendeva come una metropoli con viali e strade secondarie delimitate da tende e da tappeti. Scoprii presto che durante questo evento unico per il suo genere sembra di vivere, mangiare e dormire all’interno di uno stadio stracolmo. L’Uttar Pradesh è già di per sé lo stato più popoloso dell’India, ha un territorio prevalentemente costituito da fertili suoli alluvionali bagnati dal Gange e dallo Yamuna, il fiume che dopo aver bagnato Agra confluisce nel Ganga Ma proprio ad Allahabad, rimasta capitale dello stato fino al 1920. Durante il Kumbh Mela arrivano da tutta l’India in questa città oltre 100 milioni di pellegrini e questo agglomerato di persone cambia totalmente la fisionomia del luogo rendendo i cambiamenti visibili addirittura dallo spazio. La folla che mi circondava era molto eterogenea, intere famiglie di chiara estrazione contadina con le donne cariche su testa e spalle di enormi involucri dall’equilibrio precario, bande di ragazzini schiamazzanti, uomini sacri vestiti di arancione al cui passaggio tutti chinavano il capo con venerazione, schiere di donne avvolte nei sari più sgargianti, bambini truccati e vestiti come gli dei del pantheon induista ed infine, immancabili, gli elefanti decorati con il gesso dei colori dell’arcobaleno. Fu il monaco cinese Xuanzang, che visitò l’India tra il 629 e il 645 d.C. durante il regno del re Harshavardhana, a riportare per primo una cronaca del Kumbh Mela, l’evento religioso la cui origine sembra derivi da un episodio narrato nel popolare Bhagvata Purana, il testo hindu usato nei secoli per impartire educazione religiosa ai fuori-casta.
La storia narra che per ottenere nuovamente la forza che avevano perso a causa di una maledizione, i Deva (termine che in sanscrito identifica i semidei o le divinità in genere) chiesero aiuto a Brahma, Shiva e poi anche a Vishnu; quest’ultimo consigliò loro di agitare gli oceani per ottenere l’amrita, l’elisir della vita eterna. Fu quindi necessario che i Deva si accordassero con i loro acerrimi nemici gli Asura (i demoni) con la promessa di dividersi i benefici dell’amrita. Quando invece comparve dalle acque dell’oceano l’urna (kumbh) contenente il prezioso nettare, le due fazioni cominciarono a lottare tra loro per impossessarsene. La guerra continuò per dodici giorni e dodici notti, equivalenti a dodici anni umani e fu infine Vishnu ad impossessarsi dell’urna e a volare via con l’elisir. Ma alcune gocce gli caddero dal cielo su quattro luoghi precisi della terra: Allahabad (conosciuta anche col nome originario di Prayag), Haridwar, Ujjain e Nashik.
In questa breve leggenda sono racchiusi due degli elementi principali del Kumbh Mela: i quattro luoghi sacri dove si svolge la festa, tutti situati alla confluenza dei fiumi, e la periodicità dei 12 anni con cui si celebra l’evento. Il terzo elemento è quello astrale che determina con precisione sulla base della posizione di Giove, del Sole e della Luna i giorni propizi in cui compiere il rituale bagno sacro per liberare il proprio spirito dal ciclo eterno della reincarnazione.
A Prayag ogni 12 anni si svolge anche il Maha (Grande) Kumbh Mela, perché è considerato il luogo più sacro tra i quattro destinati ad accogliere la cerimonia, grazie all’esistenza del Triveni Sangam, la confluenza di ben tre fiumi sacri: Gange, Yamuna e il mitologico Sarasvati che nei testi vedici è considerato un fiume invisibile. La geografia moderna ritiene che questo fiume non fosse altro che il vecchio percorso del fiume Yamuna che scorreva per un tratto parallelamente al corso dell’Indo; a causa dell’attività sismica il fiume cambiò corso tra il ventesimo e il diciassettesimo secolo avanti Cristo e lo Yamuna divenne affluente del Gange, mentre alcuni suoi affluenti confluirono nell’Indo, diminuendo di molto la portata del fiume originario. Questo fenomeno fu descritto nei testi vedici come Vinasana, cioè “la sparizione” e ne decretò la sua sacralità.
Durante il Kumbh Mela arrivano ad Allahabad anche i sadhu, gli asceti devoti a Shiva o a Vishnu che dedicano la propria vita all’abbandono e alla rinuncia della società. La loro origine si perde nella storia, sembra corrispondano ai gimnosofisti, i filosofi nudi incontrati da Alessandro Magno nel corso della sua campagna per la conquista dell’India. Questi sciamani del nostro tempo che si incontrano di frequente vicino ai templi ed ai luoghi di culto vivono delle offerte dei devoti, non possiedono nulla o quasi, e cercano con questa vita di santità di raggiungere la liberazione dall’illusione, la fine del ciclo delle reincarnazioni, la dissoluzione nel divino e ottenere così la fusione con la coscienza cosmica. Per accelerare questo processo praticano astinenza sessuale, molti fanno voto di silenzio o si praticano mortificazioni del corpo, compiono rituali magici e recitano i mantra, sono infine esperti di yoga e di controllo del respiro. In gran numero fanno uso rituale di hashish, come anche Shiva ritengono sia solito fare; sempre a sua immagine e somiglianza portano i capelli estremamente lunghi, che spesso finiscono per divenire dreadlocks, e cospargono il proprio corpo di cenere, simbolo di morte e di rinascita. La gente li venera perché sono considerati già morti, e infatti quando muoiono vengono sepolti a gambe incrociate, come se stessero ancora meditando, e non cremati perché la morte al mondo e il loro funerale sono già virtualmente avvenuti.
Sono divisi in confraternite che si distinguono tra loro per alcune caratteristiche dell’abbigliamento e per loro abitudini di vita: gli Udasin, gli Aghori, i Ramanandi, i Gorakhnathi e infine i Naga Baba, i sadhu nudi celebri anche per le loro passate glorie militari ai tempi della conquista islamica e poi di quella britannica, che oggi sono ancora organizzati in Akharas, reggimenti, ed esibiscono in modo simbolico alcune armi tra cui il trishul, il tridente di Shiva.
Il Kumbh Mela è uno dei momenti più intensi della loro vita di asceti; si riuniscono numerosi in un accampamento a loro riservato dove i devoti possono recarsi per onorare i venerabili ospiti, ma spesso creano problemi perché ogni setta pretende di entrare per prima nelle acque sacre in occasione del Mauni Amavasya, il primo Snan (bagno rituale) previsto dal rito canonico dell’evento.
Dopo che i Naga Baba si sono bagnati nelle acque del sangam, possono immergersi le altre confraternite, a cui fanno seguito i Guru, portati fino alla riva dai loro discepoli su rimorchi di trattore addobbati o su baldacchini coloratissimi. E’ quindi la volta dei pellegrini comuni che possono compiere le abluzioni rituali fino al tramonto durante i 45 giorni che dura la festa del Kumbh Mela. Il viavai di chi parte e di chi arriva continua incessante sia il giorno che la notte allo stesso modo di come sono continuamente stimolati i nostri cinque sensi.