Quanto siamo sostenibili? Ecco cosa può insegnarci la barca a vela
di Aldo Lavezzo
Per il dizionario la definizione di sostenibile è: tollerabile, sopportabile.
Al di là della sua accezione più comunemente diffusa in ambito economico ed ambientale, per capire il concetto di sostenibilità, dovremmo determinare quindi cosa per noi è o non è tollerabile. Pensiamo alla nostra quotidianità: cosa siamo disposti a sopportare? Qual è il nostro limite di accettazione?
Ognuno a questa domanda può rispondere in modo diverso ed i motivi possono essere ricondotti alla cultura personale ed alla propria sensibilità ed empatia, all’ambiente in cui si vive, allo stile di vita che si ha o che si desidererebbe avere e alla scala di valori che ci hanno insegnato a rispettare.
La realtà dei fatti poi è sotto gli occhi di tutti, tra gli stereotipi sociali in cui innegabilmente ci si confonde, quelli che poi influenzano le masse. Una bulimia di superficialità e spregiudicatezza, acuita dal distanziamento forzato e dalle aspettative destabilizzate da un futuro incerto e ormai concretamente insostenibile.
Basta guardarsi attorno o accendendo la TV, per trovarsi dentro una notizia di alluvioni, terremoti, siccità, inquinamento, placche tettoniche che si spostano, permafrost che si assottiglia, scandali politici e violenza tra uomini, sulle donne e tra ragazzini. Si reagisce al vicino di casa che ride con gli amici, ad un parcheggio fatto male, al cane che abbaia, in coda al semaforo, al supermercato, al bambino che piange o i bambini che giocano in cortile. Non si sopporta un collega, la maleducazione delle persone in tram, l’odore della pelle di un nero, di un giallo, del verde cittadino curato male o il telefono, che non prende mai quando dovrebbe. Tollerabile? Sostenibile? Qual è il limite da raggiungere e come lo si riconosce?
In natura, dove il grande limite è solo ciò che siamo, in un contesto in cui tutto ha un senso, un equilibrio, un inizio ed una fine, anche se l’occhio non lo percepisce o che la nostra mente non vuole accettare. Un ciclo a cui si appartiene, un eco sistema di cui facciamo parte.
Futuro tollerabile, stile di vita sostenibile.
Dall’inizio di questa pandemia, il lavoro degli psicoterapeuti è aumentato del 30%, che tradotto in parole povere è solo la necessità di benessere condiviso e condivisibile.
La vita spesso ci mette di fronte a grandi temi quali: la paura, l’inadeguatezza, l’ansia da prestazione, il bisogno di attenzioni e di accettazione. Tutte cose che condizionano il nostro desiderio e bisogno di “vivere al meglio”.
Condizionamenti appunto e limiti, creati dalla nostra mente, distorsioni cognitive, in un circolo vizioso che una volta innescato può diventare opprimente. La differenza tra successo e fallimento è la capacità di trasformare certe situazioni anche difficili, in risorse potenzianti, in un contesto fatto di molteplici proiezioni dei nostri desideri e soprattutto, di aspettative generate dai nostri bisogni.
Per uscire da questo inghippo, alcuni professionisti propongono diversi approcci, metodologie più o meno efficaci, una sorta di “convergenza” psico-caratteriale da fare ogni tanto per ritrovare il giusto equilibrio. E i dati evidenziano questa tendenza. Ci posizioniamo come un auto sul ponte di un gommista per ritrovare l’assetto migliore.
La barca in tutto questo, è un ottimo banco di prova e può servire per affrontare al meglio certi argomenti, in un momento votato però al relax e al divertimento, come una vacanza ad esempio.
La vera domanda da porsi quindi è: quanto e cosa siamo realmente disposti ad accettare? Quanto siamo disposti a metterci in gioco per stare bene con noi stessi e di conseguenza anche con gli altri ed il mondo che ci circonda?
Vivere il mare dal punto di vista di una barca, comprendere la vita dal punto di vista del mare.
Superato il limite soggettivo della passerella, si entra in un’altra dimensione. Si lasciano a terra “i pesi inutili” che ci si porta appresso attraverso la vita, assieme al superfluo, quello che di solito si indossa e a cui spesso si dà troppa importanza.
Il viaggio inizia così, in un luogo dove regna sovrana la natura e nonostante si continui a credere di poterla controllare con la presunzione e l’arroganza, qui invece assume la forma più giusta e concreta, si palesa il vero senso di sostenibile, fatto di rispetto per se stessi, per il tempo che scorre lento, per chi condivide con noi questo viaggio e per la natura che ci circonda. Lontani da terra, in un ambiente ideale, dove non ci si fa contagiare nemmeno “dai fatti cronaca”, considerando il periodo pandemico che viviamo. Un distanziamento “naturale”.
La prima volta si idealizzano aspettative ma si è più spaventati dal proprio grado di “tolleranza” per gli spazi ristretti, per il mal di mare o per le piccole limitazioni personali che si pensa di dover accettare forzatamente, in virtù però di un equilibrio formativo e sostanziale, che giorno dopo giorno si palesa senza accorgersene.
La tolleranza è il principio sul quale molti basano le proprie rinunce, senza nemmeno provarci o al contrario, si reagisce per difendersi da qualcosa o qualcuno e spesso fuori luogo, per un malinteso o in un momento di difficoltà, dove prevale l’istinto primordiale che non siamo allenati a gestire. Pregiudizi quindi, scuse, per evitare il confronto con gli altri ma soprattutto con se stessi. E quando si è in mare, lontani da terra e dai nostri riferimenti oggettivi, questa sensazione si acuisce e in certi casi può condizionare tutti quanti.
In barca si condivide un programma ed una rotta da seguire, dei ruoli da rispettare per governarla al meglio e per gestire il vento, durante un ormeggio, per fare la spesa, da mangiare, pulire e tenere in ordine, senza invadere gli spazi comuni ma anche il relax, il divertimento, un aperitivo al tramonto ed il silenzio. Un micro cosmo dove tutto e tutti hanno un senso, dove non si può “parcheggiare” dove si vuole, perchè la meteorologia la fa da padrona e le normative impongono attenzioni per l’ambiente. Parliamo di rispetto quindi per le persone e le regole, di sana convivenza, organizzazione ed operatività condivisa. Tutti sullo stesso piano, uno per tutti e tutti per uno, uniti da uno scopo comune, condividendo gli stessi valori di benessere e sicurezza.
Si lavora sulla propria “intelligenza emotiva”, cioè l’atteggiamento positivo necessario per evitare “discussioni” sterili e depotenzianti. Energia positiva, che le persone “tossiche” sono sempre pronti a toglierci con il loro “senso di malessere” e che in barca, possono invece creare situazioni compromettenti e pericolose, quindi da evitare assolutamente.
Cosa serve allora?
Tolleranza, collaborazione, intelligenza e buon senso.
Le abitudini per alcuni sono difficili da cambiare e scegliendo una vacanza in gruppo, come ad esempio in barca a vela, alcune cose diventano sostanziali ed essenziali. Occasione incredibile quindi per imparare a liberarsi dei pesi inutili di cui si parlava all’inizio dell’articolo, quelli di tutti i giorni a casa, in ufficio, con i parenti, con gli amici in casa dei parenti e in vacanza, con degli sconosciuti ad esempio, altro tema interessante se si sceglie una soluzione di questo tipo.
Se in barca (come nella vita) tutti rispettano le poche regole per garantire l’equilibrio di forma e sostanza, non ci saranno scontri ma confronti. I punti di vista verranno rispettati, le volontà assecondate e la convivenza un valore, non un fastidio da gestire. Allora sì, che sarà una vacanza (la vita) e non un incubo di cui aver paura, imparando così a rispettarla e ad apprezzarla così com’è… dal punto di vista del mare. Storie di vita, che io nel mio blog saidisale.com ad esempio, racconto ormai da anni.
Buon vento e buona vita!