CHO - Chief Happiness Officer
di Grazia Caleppi
Il CHO è il manager destinato a preoccuparsi al “benessere” dei lavoratori. La figura è sempre più diffusa negli Stati Uniti e in Europa crescono le società che introducono questo indicatore nel loro bilancio sociale.
È sempre accaduto in passato a seguito di eventi drammatici o catastrofici, succede anche ora. Dopo l’esplosione dell’emergenza Covid-19, il perseguimento di una maggiore serenità e di un più diffuso benessere ha scalato la lista delle priorità. Così, sempre più municipalità introducono deleghe alla Felicità e sempre più aziende investono sui “chief happiness officer”.
La figura del Cho è nata negli Stati Uniti – dove, per altro, la ricerca della felicità sarebbe una garanzia costituzionale – e sta prendendo piede all’interno di diverse realtà internazionali. La danese Valcon è la prima azienda ad aver introdotto in Europa, in collaborazione con Happiness Research Institute, una sorta di “bilancio sociale della felicità” con azioni e misurazioni puntuali sul benessere e sui ritorni che genera. In Italia ci sono poco più di 40 Cho certificati e un numero crescente di imprese ne affida i compiti a chi ne ha l’attitudine.
Alla Termoplastic F.B.M., manifattura varesina dal 1963, i manager della felicità sono addirittura due. «Non è il successo che porta la felicità, ma la felicità che va ad alimentare il successo», sentenzia Andrea Munari, che guida l’azienda di famiglia nel ruolo di Lean manufacturing manager. «Mettere in campo un PF (Piano per la felicità) implica la trasformazione verso un’organizzazione positiva, in cui tutti sono chiamati a partecipare e sono allineati sugli stessi valori. Noi abbiamo cercato di invertire il trend, mettendo al centro i bisogni di ciascuno e focalizzandoci sulle competenze soft dei collaboratori».
Cecilia Masserini, responsabile delle risorse umane e “CHO” di Biogen, Italia, multinazionale biotecnologica americana che studia e sviluppa terapie per malattie autoimmuni e rare, come la Sla e l’Alzheimer.
Nata ad Aosta nel 1983, Masserini è tra i primi cinquanta manager titolati CHO in Italia.
Nel nuovo modello di business, la sostenibilità dell’individuo coincide con quella dell’azienda. “A volte quando si parla di felicità si pensa a concetti astratti, invece ha precisamente a che vedere con il benessere della persona e della compagnia per cui lavora. Guardiamo i dati: aumenta la capacità di innovare del 300 per cento, le vendite del 37 per cento, la produttività del 31 per cento. Per curare il nostro business ci dobbiamo occupare di tutto ciò che gravita in questo ecosistema. Il tema dei feedback, per esempio, focalizzati sull’aspetto emotivo di chi li riceve e di chi li invia, sulla qualità della relazione: se c’è cura nei rapporti tra le persone c’è fiducia e la fiducia porta all’empowerment.
In Google a Chade-Meng Tan venne dato il job title di CHO, dopo aver ricoperto l’incarico di Jolly good fellow, una sorta di funzione aziendale che ha preceduto la formalizzazione del CHO, in molte aziende Usa; c’è Jenn Lim, CHO di Delivering Happiness, spin-off aziendale di Zappos; Christine Jutard, che è stata CHO di Kiabi; c’è anche Ronald McDonald, CHO di McDonald’s, tra i primi negli Stati Uniti già nel 2003.
Non è detto che la certificazione di Chief happiness officer corrisponda a un analogo incarico aziendale. “E questo può indurre a credere che stiamo parlando di fuffa-management”, ammette Veruscka Gennari, autrice con Daniela Di Ciaccio del volume ‘Chief happiness officer. Il futuro è delle Organizzazioni Positive’ (Franco Angeli, 2020).
La felicità è un vocabolo che evoca molto, ma che non è facile far calare nella banalità delle descrizioni economico-aziendali.
Qual è l’elemento distintivo di un Chief Happiness Officer?
Il CHO ha una visione sistemica ed integrata delle Organizzazioni.
Sa che le organizzazioni non sono macchine composte di parti separate e che le persone non sono ingranaggi da manipolare, controllare, contare, spostare senza che ci siano effetti su altre dimensioni.
Vede le organizzazioni come organismi viventi, complessi e adattivi che si modificano costantemente attraverso le interazioni interne ed esterne, e vede le persone nella loro “pienezza”, con bisogni, talenti, capacità, valori, anche esse in costante mutamento.
Questo tipo di visione richiede la capacità di osservare l’organizzazione in maniera sia allargata – considerando le sue interazioni ed influenze con l’ambiente esterno in cui è inserita – sia integrata.
Il CHO guarda l’intero “sistema” di condizioni di processo (ad esempio come, quando e cosa valuto e premio), struttura (ad esempio livelli di gerarchia che impattano l’autonomia decisionale o il flusso di informazioni), cultura (ad esempio la condivisione e il rispetto fanno parte dei nostri valori e dell’agire organizzativo?) e leadership (ad esempio gli stili di comunicazione e di feedback), che promuovono o ostacolano il coinvolgimento e che vanno presidiati e allineati per assicurare la coerenza, elemento su cui spesso inciampano le organizzazioni e la cui mancanza rende inefficaci molte delle politiche di welfare nate con le migliori intenzioni.
Le 4 dimensioni dell’Organizzazione Positiva che il CHO presidia
- La cultura organizzativa. Il CHO promuove la CULTURAL TRANSFORMATION orientando l’organizzazione verso un proposito forte, ancorato a finalità collettive, capace di generare un impatto sociale, ecologico e di promozione del bene comune.Ad esempio si chiede: ci fidiamo delle persone? Il benessere e la felicità fanno parte dei nostri valori? Qual è il contributo e l’impatto che stiamo lasciando alla comunità e nel territorio in cui operiamo? Come il nostro proposito ci guida per contribuire ad un cambiamento positivo della nostra società?
- L’evoluzione della società e i cambiamenti economici, politici, culturali, tecnologici e ecologici. Il CHO presidia l’area della cosiddetta CORPORATE HAPPINESS, fa cioè della felicità una strategia organizzativa coerente. Ad esempio si chiede: se la depressione è un problema emergente che potrebbe riguardare le persone che vivono nella mia organizzazione, cosa posso fare per ridurre il rischio e quindi evitare impatti negativi su produttività, engagement, innovazione?
- La leadership e i modelli mentali di chi guida l’organizzazione. Il CHO coltiva e diffonde la POSITIVE LEADERSHIP a tutti i livelli dell’organizzazione, perché sa che non esistono organizzazioni positive senza leader positivi. Ad esempio si chiede: i leader della mia organizzazione pensano che se i collaboratori vanno al corso di yoga stanno perdendo tempo e che la regola è sempre “business first”? Come comunicano e danno feedback? Che tipo di comportamenti promuovono? Sono coerenti con ciò che dichiarano?
- I processi organizzativi. Il CHO presidia la POSITIVE ORGANIZATION, sceglie, disegna e gestisce processi e pratiche congruenti con la strategia identificata e capaci di generare benessere e percezione di coerenza. Ad esempio si chiede: facciamo riunioni tutti i giorni, anche quando non ce ne è bisogno? Il corso di teatro è considerato fuori orario di lavoro o messo in alternativa alla pausa pranzo? Stiamo selezionando secondo i valori dell’organizzazione? Quanto cortisolo generano i nostri processi di valutazione della perfomance.
Per concludere, in un settore come quello turistico in cui le aziende hanno la Mission di dare felicità e divertimento ai propri clienti, non si può ignorare una nuova figura professionale come quella del CHO, che potrebbe dare una nuova energia ad un business che negli ultimi due anni è stato messo a dura prova dalla Pandemia